Arte

Marina Abramović: l’artista che ha rivoluzionato la performance art

Nel panorama dell’“arte contemporanea”, pochi nomi risuonano con la stessa forza di Marina Abramović. Nata nel 1946 a Belgrado, ha trasformato la performance art in un linguaggio universale capace di parlare direttamente al corpo, alla mente e alla sfera emotiva dello spettatore.

Le sue opere, spesso intense e radicali, hanno ridefinito il concetto di presenza scenica, portando l’artista stessa a diventare parte integrante dell’opera. Attraverso gesti estremi, silenzi profondi e rituali ripetuti, Abramović ha reso il pubblico non più un semplice osservatore ma parte attiva dell’esperienza artistica.

La sua ricerca artistica ha attraversato decenni, toccando temi come il dolore, la vulnerabilità, la spiritualità e la relazione con l’altro. Il suo impatto non si limita alle gallerie: ha lasciato un’impronta duratura anche sul modo in cui concepiamo l’arte e l’identità dell’artista stesso.

Chi è Marina Abramović

La comprensione dell’opera di Abramović richiede uno sguardo attento al suo percorso biografico e all’ambiente culturale in cui si è formata.

Biografia e formazione

Marina Abramović nasce il 30 novembre 1946 a Belgrado, nell’ex Jugoslavia. Figlia di partigiani comunisti decorati dallo Stato, cresce in un contesto severo e disciplinato. Studia presso l’Accademia di Belle Arti di Belgrado e successivamente a Zagabria, iniziando il suo percorso con opere pittoriche prima di orientarsi verso la performance art all’inizio degli anni ’70. La sua carriera si sviluppa rapidamente anche in contesti internazionali, portandola a collaborare con gallerie e musei di rilievo in Europa e negli Stati Uniti.

Influenze familiari e culturali

La madre di Marina, comandante nell’esercito, le imponeva regole ferree e orari rigorosi, influenzando profondamente la struttura delle sue prime performance. L’altro polo della sua formazione è la nonna, figura spirituale, che alimenta in lei l’interesse per i rituali, la religiosità e la trascendenza. Questa dualità – disciplina e spiritualità – sarà centrale nella costruzione del suo linguaggio artistico.

Le opere più iconiche di Marina Abramović

La sua produzione è ricca di lavori che hanno lasciato il segno nella storia dell’arte. Tra questi, alcune performance si distinguono per potenza simbolica e impatto culturale.

Rhythm 0 (1974)

Una delle performance più discusse: l’artista si offre inerme al pubblico con 72 oggetti disposti su un tavolo, tra cui una rosa, una piuma, un coltello e una pistola carica. Per sei ore, il pubblico è libero di usare su di lei qualsiasi oggetto. L’opera esplora la natura dell’aggressività e il confine tra performer e spettatore. Il rischio reale e l’assenza di parole rendono l’atto potente e disturbante.

The Artist Is Present (2010)

Realizzata al MoMA di New York, questa performance ha avuto un’enorme eco mediatica. Per quasi tre mesi, otto ore al giorno, Abramović è rimasta seduta in silenzio davanti a una sedia vuota, lasciata al pubblico. Chiunque poteva sedersi e incrociare il suo sguardo. In tutto, più di 1.500 persone hanno partecipato, creando connessioni intime, spesso sfociate in lacrime. L’opera ha sottolineato il valore della presenza, dell’ascolto e dello scambio emotivo non verbale.

Balkan Baroque (1997)

Presentata alla Biennale di Venezia, è un atto di denuncia contro la guerra nei Balcani. Per sei giorni, l’artista ha pulito ossa insanguinate in un ambiente chiuso e soffocante, mentre cantava canti popolari. L’opera è valsa ad Abramović il Leone d’Oro e ha acceso un dibattito sull’uso della memoria e del trauma nell’arte.

Collaborazioni con Ulay

La relazione artistica e sentimentale con Ulay, durata dal 1976 al 1988, ha prodotto numerose opere, tra cui “Rest Energy” e “The Lovers”, performance dove i due artisti esplorano la fiducia, il conflitto e la separazione. Il loro percorso si chiude simbolicamente con una camminata dalle estremità opposte della Grande Muraglia cinese, incontrandosi al centro per dirsi addio.

L’evoluzione dell’arte performativa secondo Abramović

Il lavoro di Abramović è stato essenziale per legittimare la performance come forma d’arte autonoma e profondamente significativa.

Il corpo come mezzo espressivo

Per Abramović, il corpo è strumento e messaggio. Attraverso pratiche estreme come la privazione del sonno, il digiuno o il dolore fisico, l’artista ha indagato i limiti della resistenza umana, trasformando l’esperienza individuale in atto condiviso. Questo approccio ha influenzato generazioni di performer, ponendo l’artista al centro dell’opera.

Spiritualità e trascendenza

La componente spirituale è sempre più presente nel suo lavoro dagli anni ’90 in poi. Abramović si avvicina a tradizioni sciamaniche, riti tibetani e pratiche meditative, includendole nelle sue performance. L’obiettivo è un’esperienza trasformativa, sia per lei che per il pubblico.

Marina Abramović in Italia

La presenza dell’artista in Italia ha segnato momenti significativi nella diffusione dell’arte performativa.

Mostre e retrospettive

Nel 2018 Palazzo Strozzi ha ospitato “The Cleaner”, la più ampia retrospettiva italiana su Abramović, con opere storiche, video e performance rielaborate da giovani artisti. L’esposizione ha richiamato oltre 180.000 visitatori, confermandone il richiamo internazionale.

Collaborazioni con istituzioni italiane

L’artista ha spesso lavorato con realtà culturali italiane come il MAXXI di Roma e la Biennale di Venezia. Queste collaborazioni hanno contribuito a rafforzare il legame tra l’arte performativa e il pubblico italiano.

L’impatto di Marina Abramović sull’arte contemporanea

Il contributo di Abramović all’arte contemporanea si manifesta non solo nelle sue opere ma anche nell’influenza esercitata su artisti, curatori e istituzioni.

Oltre al Leone d’Oro del 1997, Abramović ha ricevuto numerosi premi e onorificenze, tra cui il Premio per le Arti Visive dell’AICA e la laurea honoris causa dalla Royal College of Art di Londra. Il suo nome è diventato sinonimo di performance art.

Artisti contemporanei come Ragnar Kjartansson e Tino Sehgal hanno dichiarato di aver trovato ispirazione nel suo lavoro. Le sue pratiche hanno ridefinito i confini tra arte e vita, ponendo l’esperienza umana al centro della ricerca estetica.

Il Marina Abramović Institute (MAI)

Il desiderio di trasmettere metodi e conoscenze ha portato Abramović alla creazione di un centro dedicato alla performance.

Il MAI, fondato nel 2007, si propone di promuovere la performance art, le scienze e le discipline umanistiche attraverso progetti interdisciplinari. Il centro incoraggia la partecipazione attiva e l’educazione all’esperienza artistica.

Tra i progetti principali ci sono workshop immersivi, esperimenti collaborativi e l’adozione del metodo Abramović per la preparazione mentale e fisica alla performance. Il MAI si configura come un archivio vivente di pratiche artistiche del presente.

Curiosità su Marina Abramović

Oltre alle sue opere, la figura pubblica di Abramović ha suscitato interesse per diversi aspetti della sua vita.

La relazione con Ulay, le sue lunghe ritirate spirituali, e la sua abitudine a digiunare prima delle performance fanno parte di un rituale personale che si riflette nel suo lavoro. La sua dieta è spesso vegana e pratica yoga quotidianamente.

Tra le sue frasi più note: “L’artista deve essere bella. L’artista deve essere invisibile. L’artista deve essere arte.” Una dichiarazione che racchiude il cuore della sua visione.

Foto Par Manfred Werner / TsuiTravail personnel, CC BY-SA 3.0, Lien.

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